Quando percorri la “Scala della morte” di Mauthausen ti chiedi, ancora una volta, come sia possibile che degli esseri umani abbiano commesso atrocità del genere contro altri esseri umani.

Sono 186 gradini, che collegano il lager alla cava di granito, e che i prigionieri erano costretti a percorrere con degli “zaini” di legno pieni di blocchi di pietra. Molti di loro, esausti, si lasciavano cadere, trascinando con sé i compagni che avevano dietro. Altri venivano gettati dalle SS giù dal muro in pietra, che i nazisti chiamavano sadicamente “Muro dei paracadutisti”.

Visitare Mauthausen significa entrare in uno dei luoghi-simbolo del crudele, disumano, lucido piano di sfruttamento e di sterminio messo in campo dai nazisti. Vi arrivarono oltre 190mila persone, morirono in circa 90mila, più dei 10mila dei quali assassinati nelle camere a gas. All’inizio vi furono deportati i prigionieri politici, poi ne arrivarono da varie parti d’Europa: polacchi, ungheresi, spagnoli, sovietici, francesi, belgi, olandesi, italiani. Vennero deportati qui anche numerosi ebrei, Rom e Sinti e “triangoli rosa”, ovvero prigionieri internati per il loro orientamento sessuale.

Quella domanda, “Com’è possibile?”, ha continuato a risuonarci nella mente anche quando siamo arrivate e arrivati questa mattina a Gusen, dove i nazisti insediarono tre campi secondari di Mauthausen.

Come a Mauthausen, l’obiettivo economico di costruzione di questo campo era lo sfruttamento delle cave vicine, che offrivano ai nazisti la possibilità di usare il lavoro come mezzo di eliminazione. Anche qui arrivarono poi i crematori, per eliminare i malati e gli inabili al lavoro. Gusen è anche conosciuto come “il cimitero degli italiani”: furono 3.098 i nostri connazionali deportati qui, 2.177 dei quali non fecero ritorno a casa. Oggi, in quello che un tempo fu il campo di Gusen, dove sono ancora visibili dei forni crematori, sono stati costruiti molti edifici, nuova vita intorno a uno dei più terribili luoghi di morte della storia. Fa davvero molta impressione e rende ancora più evidente il bisogno di custodire e far conoscere questi fondamentali luoghi di Memoria che non possono e non devono assolutamente scomparire.